03.03.2022 · Италия
Chiesa Ortodossa e Scisma Ucraino: il rischio che il conflitto coinvolga anche gli altari
Fabrizio Vielmini
Le
fiamme di una guerra che nella sua follia fratricida sta divenendo
sempre più indiscriminata arrivano a lambire le sedi del potere
religioso: è forte il rischio che sotto le bombe finisca la Cattedrale
di Santa Sofia a Kiev. Questo è l'ennesimo paradosso per il regime di
Putin, costruito anche sull'incorporamento dell'Ortodossia nelle sue
fondamenta ideologiche. Così, Putin ha stretto un'alleanza con il
patriarca di Mosca, Kirill, guida della Chiesa Ortodossa russa (COR),
finalizzata sia al consolidamento interno del paese sia nella proiezione
della sua influenza fra gli altri popoli ortodossi.
Per
entrambi, l'Ucraina, sede di un terzo delle parrocchie della COR,
rappresenta il premio più ambito. Le lacerazioni del paese sono
religiose quanto geopolitiche. Sin dai primi giorni dell'indipendenza, i
gruppi d'affari al potere hanno alimentato le ambizioni del metropolita
di Kiev volte ad ottenere lo status di autocefalia per la Chiesa
ortodossa ucraina così da sottrarla all'influenza del Patriarcato di
Mosca.
Nel giugno del 1992, l'autoproclamato
Patriarcato di Kiev costituisce così una nuova Chiesa ortodossa ucraina
sotto (COU-PK). Da quel momento, le chiese sul territorio ucraino – fra
cui gioielli quali Santa Sofia oggi sulla linea del fronte a Kiev –
costituiscono un campo di battaglia tra gerarchie ecclesiastiche opposte
ed i loro sostenitori politici. Di fronte all'opposizione allo scisma
della maggioranza del clero locale, entrano in azione a sgombrare i
locali le squadre ultranazionaliste ucraine.
Specularmente
al suo antagonista moscovita, il COU-PK è stato strumentale nelle
manovre volte a modificare la collocazione geopolitica dell'Ucraina, a
cominciare dalla prima "rivoluzione colorata" del 2004. Dopo i fatti di
Maidan del 2014, Petro Poroshenko ha rilanciato il progetto scismatico
ottenendo tramite i suoi sostenitori in Occidente ed in Turchia il
supporto dell'arcivescovo di Costantinopoli e patriarca ecumenico,
Bartolomeo. I motivi che hanno spinto a quest'ultimo a prestarsi sono
incerti (pressioni di Erdogan o preoccupazioni per le ambizioni globali
della ROC). Sta di fatto che, il 5 gennaio 2019 ad Istanbul Bartolomeo
ha ufficialmente stabilito la Chiesa ortodossa autocefala dell'Ucraina
sotto la guida del metropolita Epifanio di Kiev in presenza di
Poroshenko. I rappresentanti delle altre Chiese ortodosse ucraine, gli
Uniati greco-cattolici e altre confessioni minori, si sono associati al
nuovo soggetto.
Tuttavia nella complessa
gerarchia ortodossa, il patriarca ecumenico è solo riconosciuto quale
primus inter pares da parte delle altre gerarchie. La manovra quindi si è
risolta in un ulteriore fattore di divisione. Allo stato attuale (dati
del 2020) la COU-PK vanta oggi 5.000 parrocchie (nei fatti non più di
3.500) mentre la Chiesa ucraina associata a Mosca ne conta più di 12.000
(10.000 de facto), rimanendo l'istituzione religiosa dominante (secondo
il numero di comunità registrate) in 24 delle 27 regioni del Paese (gli
unici casi di "passaggio" sono avvenuti nelle regioni ultranazionaliste
dell'ovest e nella stessa Kiev "patriottica" solo quattro parrocchie su
400 hanno cambiato bandiera.
Da rilevare come, lo
scisma si sia allargato dal terreno ucraino a quello globale. Qui,
l'Ortodossia respira su due polmoni, greco e russo. Quest'ultimo,
inglobante il mondo slavo e la Georgia, rappresenta più di 100 milioni
di persone, o 40 per cento di tutti i cristiani ortodossi nel mondo, ben
altra cosa del gregge di soli 180.000 dell'arcivescovo di
Costantinopoli. La decisione di questi è stata disconosciuta dalla
maggioranza delle 14 chiese ortodosse con quelle di Bulgaria, Siria,
Georgia e Serbia unitesi al boicottaggio della COR. La cosa ha riflessi
anche in Italia dove Mosca cerca d'influire nella nomina di vescovi e
sacerdoti mirando ai migranti dai paesi dell'ex URSS.